Photo credit: Tristan Martin, via Flickr
Utilizzare il DNA come metal detector: è l’idea di un gruppo di chimici della Stanford University, negli Stati Uniti, che mira a realizzare un sistema poco costoso, basato su acidi desossiribonucleici, capace di rivelare, distinguere e quantificare diversi metalli in soluzioni acquose.
Il sensore messo a punto dal team di ricercatori guidato da Eric Kool è fatto di biglie di polietilenglicole e polistirene su cui è stata attaccata una libreria combinatoriale di corte catene di unità desossiribosio-fosfato che, a differenza del DNA “biologico”, recano basi azotate modificate o altri sistemi aromatici fluorescenti. Queste molecole legano ioni metallici, per esempio alcalini, di transizione o lantanidi, formando dei complessi. I complessi, una volta eccitati, emettono in fluorescenza ad una lunghezza d’onda differente e caratteristica per ciascuno di essi. Dal tipo di colore prodotto è dunque possibile identificare e quantificare la specie metallica complessata col DNA, anche a concentrazioni micromolari (e in certi casi nanomolari) di metallo.
La ricerca è stata pubblicata sul Journal of the American Chemical Society.
Articolo di approfondimento: Fluorescent DNA becomes versatile metal detector (Chemistry World)
Link to paper: Large-Scale Detection of Metals with a Small Set of Fluorescent DNA-Like Chemosensors, (JACS) 2014.